DUMENZA – Monastero della S.S. Trinità
Una giornata insieme
Il tempo non promette niente di buono, ma alle 7.15 siamo già alla stazioncina solitaria della nostra sede. Tre macchine, 14 partecipanti. Si parte per Dumenza, verso il monastero dei monaci che fino al 2005 hanno abitato l’antica abbazia di Vertemate. Per molti di noi è un’occasione per rivedere Adalberto, Luca, Andrea, Lino, Ildefonso, Nicola, la vecchia guardia conosciuta negli anni dell’abbazia.
Luciano guida la carovana con l’ausilio del navigatore di Virginia. Le altre due carrozze seguono la scia. Scrosci e rovesci d’acqua in Valganna, vecchie filande in decomposizione, il lago di Ghirla. Poi la salita al monastero, i perfidi tornanti, la strada stretta e la sensazione d’essere sempre sull’orlo del precipizio. Pioviggina sui tetti e sugli alberi: il monastero ci accoglie così, con un’aria autunnale nonostante sia in corso una sfolgorante primavera.
Non così all’interno: padre Adalberto ci saluta con una gioia contagiosa, ci offre il caffè, le tisane, il tè verde, il tè classico, un dolcino e la toilette. Ci rinfranchiamo e chiacchieriamo con un tono di voce che si conviene al monastero.
Facciamo quattro passi fuori, per vedere il monastero dall’esterno. Un grande edificio chiaro composto di corpi diversi ma armoniosamente legati tra loro, finte trifore e un bel campanile a vela con tre campanelle. Piove, si torna dentro ed è ora della celebrazione liturgica. Non una qualsiasi: è la festa di Pentecoste! Seguiamo il salmodiare dei monaci, ascoltiamo la Parola di Dio, accogliamo la benedizione con l’acqua e l’incenso che viene da un turibolo dotato di campanellini che suonano ad ogni suo movimento.
“Regina caeli laetare” cantiamo alla fine tutti insieme. Lei c’era quando lo Spirito Santo ha riempito i cuori degli apostoli. Chissà se nei suoi pensieri c’eravamo anche noi! Oggi sicuramente sì.
Dopo il canto di “Sesta”, subito il pranzo. Si parla. Senza gridare, ma si parla. Forse perché è domenica. Molti di noi erano convinti che il pranzo dei monaci fosse consumato in silenzio. Invece no. E c’è anche il caffè, alla fine.
E c’è un ritrovarsi coi monaci della vecchia guardia, un chiedere, un rallegrarsi vicendevole per questo inatteso incontro, un ricordare gli anni di Vertemate, un raccontare lo stato d’abbandono e di incuria in cui versa oggi l’abbazia.
Luca ci accompagna a vedere la biblioteca, gli spazi destinati agli incontri, il chiostro, le stanze degli ospiti. Era un collegio, una colonia: ora un monastero dove il silenzio è assoluto, la preghiera continua, lo studio quotidiano, il lavoro manuale indispensabile.
Ci fermiamo in una saletta per ragionar di noi e di ciò che il Masci Cantù vuole e può fare. Rinnoviamo la Promessa. Ognuno ripensa alla sua pronunciata al campo, in una chiesa, nel bosco. Allora ci era sembrato un atto eroico. Oggi ci sembra d’aver più semplicemente detto che avremmo fatto del nostro meglio, nient’altro che il nostro meglio. Ci eravamo dati una Legge e la Promessa era la forza che ci avrebbe aiutati a seguirla. Poi cantiamo il Canto della Promessa: le voci non sono più quelle di un tempo, ma arriviamo in fondo e il monastero ascolta e capisce.
Luciano tenta un discorso: il problema è che cosa vuol dire oggi essere adulti scout, come vivere da scout con tanti anni sulle spalle, con il peso dei tradimenti fatti alla Promessa nel corso delle nostre giornate, che cosa fare per ritrovare lo spirito scout che non è assolutamente morto, ma dorme quieto e tranquillo. Francesca propone di leggere e discutere utilizzando le riviste lombarde e nazionali del Masci. Ci proveremo. Riprendiamo la carovana e saliamo verso il rifugio Campiglio. Non s’è visto niente dalla grande terrazza, se non un barlume di lago in fondo nella foschia umida di pioggia.
Si riparte verso casa. La “Giornata insieme” si scioglie, ma non l’amicizia che ci lega grazie a ciò che abbiamo in comune: una Promessa e una Legge. Per Luciano anche un fazzolettone, una divisa e un cappellone. Buona Strada a tutti!
Rosanna – Scricciolo della radura
Cantù, 9 giugno 2019